Dal Ticino al Naviglio: 2.200 ettari di biodiversità

Fondazione Patrimonio Ca’ Granda ha realizzato un grande intervento ecologico che ha portato alla creazione di un habitat naturalistico unico in Lombardia per dimensioni e importanza. Un investimento di oltre 350.000 euro, finanziato da un contributo della Regione Lombardia e realizzato in collaborazione con Fondazione Lombardia per l’Ambiente, Parco del Ticino e Comune di Morimondo.

10 km di filari alberati collegano, nel territorio di Morimondo, l’ecosistema del Ticino con quello del Naviglio di Bereguardo. Ad oggi sono stati piantati oltre 5.000 tra alberi e arbusti ed è stata creata un’area umida imboschita di circa 4.000 mq.

I nuovi filari connettono gli habitat naturali esistenti, riducendone la frammentazione e permettendo agli animali di spostarsi in sicurezza. Il nuovo ecosistema è destinato ad arricchirsi progressivamente, ospitando un numero sempre crescente di specie faunistiche tra cui aironi, rane, tritoni, tartarughe, tordi, libellule.

La nuova area umida costituisce invece un nuovo habitat, molto prezioso per la biodiversità: per gli anfibi che vi si riproducono, gli uccelli acquatici che vi nidificano e trovano riparo e nutrimento durante le migrazioni, i rapaci che vi cacciano.

Gli esperti della Fondazione Lombardia per l’Ambiente monitorano la presenza di mammiferi, uccelli, anfibi che gradualmente vi si stanno insediando.

La realizzazione del progetto ha coinvolto 11 aziende agricole, affittuarie della Fondazione Patrimonio Ca’ Granda, che si sono occupate delle piantumazioni e della cura di questi nuovi ambienti.

Riso, oro della Ca’ Granda

Se le terre della Fondazione Patrimonio Ca’ Granda fossero un giacimento, il filone alla base della sua ricchezza sarebbe sicuramente quello del riso.

Nel comprensorio dei possedimenti rurali la coltivazione del riso, il cereale più completo e digeribile fra tutti – notevole l’apporto di fibra, vitamine e sali minerali – ha un grande valore non solo dal punto di vista dell’economia locale ma anche per il territorio: plasma il paesaggio e dà vita ad ambienti che ospitano molte specie di uccelli e anfibi.

Maggio è il mese della semina, momento fondamentale nella vita delle cascine della Ca’ Granda come LassoResentera e Battivacco che producono riso delle migliori varietà, primo fra tutti il Carnaroli, particolarmente pregiato per l’alta presenza di amilosio, un polisaccaride che, rallentando l’assorbimento dei glucidi presenti nel riso, ne abbassa molto l’indice glicemico rendendolo un ottimo alleato per un’alimentazione sana e nutriente.

Ai tempi della fondazione dell’Ospedale Maggiore, nel XVI secolo, il riso giungeva nel capoluogo lombardo dall’Asia Minore attraverso la Grecia.

Noto agli arabi con il nome di arz, in età viscontea era molto caro e venduto dagli speziali come medicamento. La sua coltivazione, come racconta l’archivio online Ca’ Granda, venne introdotta a livello sperimentale da Galeazzo Maria Sforza, probabilmente nelle cascine dei parchi ducali di Pavia e Milano.

La bassa milanese è da sempre una delle terre più fertili e più adatte alla produzione del riso, che si adatta ai terreni più diversi.

La prima menzione del riso in area milanese si trova in una lettera del 1475, dello stesso Sforza, indirizzata al duca Ercole d’Este, suo alleato, con la quale annunciava l’invio di alcuni sacchi di riso nel ferrarese senza l’obbligo di pagamento di dazio, al fine di avviarne la coltivazione estensiva anche in quelle terre. Il duca, che conosceva le grandi proprietà del riso, ne tutelò la produzione e il commercio.

Oggi, la coltivazione del riso ha un ruolo importante nell’economia dell’agricoltura lombarda: la varietà Carnaroli è quella maggiormente prodotta ma non mancano l’Arborio, il Rosa Marchetti, il Baldo.

Il Carnaroli, nato dall’incrocio tra il Lencino e il Vialone, è definito il “re dei risi”: ideale per risotti e pietanze gourmet perché i suoi chicchi, che tengono molto bene la cottura, assorbono i condimenti restituendo poi al palato tutti gli aromi e i profumi.

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La cura e il benessere passano dalla cascina

“Con studio et diligentia, li è proveduto de boni cibi, como se ciascuno de loro fosse in casa propria, con honesta facultà”. Così scriveva nel 1508 Giacomo Gilini, priore dei Deputati della Ca’ Granda, per istruire il personale dell’ospedale ambrosiano sulla alimentazione da far seguire agli ammalati. Ai degenti veniva offerto pane, vino, salami, olio, burro, uova, formaggio, pesce e carne proveniente per lo più dalle cascine della Ca’ Granda.

L’attività di cura non riguardava, solo i poveri del centro cittadino, ma di tutto il ducato: per far fronte a questo immane bisogno l’ospedale poteva contare sulla sua rete di cascine che fornivano all’ospedale gli alimenti necessari per la dieta dei pazienti. Un sistema di filiera corta ante litteram.

Un modello che la Fondazione Patrimonio Ca’ Granda si cura di preservare e mantenere vivo: gli alimenti e le materie prime prodotte in queste terre sostengono direttamente, con il ricavato delle vendite, l’attività e la ricerca ospedaliera. È il caso del Latte Ca’ Granda prodotto dalla cascina Coltivi a Zelo Buon Persico con metodo biologico e disponibile nei supermercati Esselunga.

Anche lo spirito educativo in base al quale i medici fornivano consigli alimentari ai pazienti dell’ospedale trova oggi una sua continuazione ideale nelle attività didattiche gestite dalle Cascine della Fondazione, come quelle di Montalbano e della Caiella, dove si insegna alle nuove generazioni il rispetto per la terra, la cura dell’ambiente, e quindi di noi tutti.

Ciò che mangiamo è ciò di cui siamo fatti. Il percorso di cura ideale non può prescindere dalla alimentazione: latte, riso, formaggi, verdure, fanno parte del patrimonio agricolo e gastronomico grazie al quale, ancora oggi, le cascine Ca’ Granda, tenendo fede ai principi già ben strutturati all’epoca della fondazione dell’ospedale, si prendono cura anche del territorio.

Le cascine di prossimità: riscoprire una tradizione antica

Il progetto di ricerca nell’Archivio Storico dell’Ospedale Maggiore Un archivio vivo, avviato dalla Fondazione Patrimonio Ca’ Granda e svolto dagli storici dell’Università degli Studi di Milano, ha permesso la conoscenza di preziosi documenti che raccontano l’antico legame tra la città di Milano e le sue campagne, tra l’Ospedale Maggiore e il suo patrimonio rurale, gestito dalla Fondazione.

Cascine, terreni, boschi, rogge e abbazie alla base di un sistema economico all’avanguardia. Dalle carte emerge come, sin dalla sua fondazione, l’Ospedale abbia saputo valorizzare le sue proprietà, donate dalla Chiesa e dai nobili, traendo da queste risorse economiche e agroalimentari per sostenere le attività di assistenza e accoglienza.

Dalle cascine “di prossimità”  arrivavano alla mensa dell’Ospedale latte, riso, uova, carne e pesce, sacchi di cereali, botti di vino, legname e mattoni ma anche petali di rosa che, raffinati, servivano per i medicamenti. Prodotti di qualità che con le loro proprietà funzionali contribuivano alla terapia di cura dei malati, ma garantivano anche tre pasti al giorno al personale medico e ai tanti poveri, bambini e anziani, che venivano sfamati dall’Ospedale, per questo subito rinominato affettuosamente dal popolo “la Ca’ Granda”: la grande casa dei milanesi.

Una lunga tradizione di carità che ha cambiato la storia di Milano e che la Fondazione Patrimonio Ca’ Granda è impegnata a rendere viva realizzando progetti sull’ambienta e l’agricoltura in modo da preservare i terreni, la natura e il paesaggio di una volta ma guardando al futuro.

Il progetto “Un archivio vivo” è sostenuto da: