• Un Patrimonio per la Ricerca, una speranza per i malati di fegato

I dati parlano chiaro: oltre 1000 persone hanno bisogno di un trapianto di fegato e le liste d’attesa sono in media di un anno e mezzo. Gli organi sono sempre troppo pochi per i pazienti a cui serve un trapianto per poter vivere.

La ricerca scientifica contribuisce a dare una nuova speranza ai pazienti affetti da patologia epatica. Grazie agli studi sul campo e a uno specifico trattamento sarà possibile infatti aumentare il numero di organi disponibili a scopo di trapianto, migliorando le caratteristiche di quelli che inizialmente vengono scartati perché non ritenuti idonei.

Di questo si occupa la ricerca EXPLORE, uno dei progetti finanziati dalla Fondazione Patrimonio Ca’ Granda all’interno del Bando della Direzione Scientifica del Policlinico di Milano “Piattaforma NGS NextSeq2000-2020“.

Il progetto, coordinato dalla dott.ssa Caterina Lonati, prevede di riprodurre, con un modello preclinico, una metodica, definita Machine Perfusion, che consente di trattare, fuori dall’organismo, un fegato prelevato a scopo di trapianto, prima che l’organo stesso venga impiantato nel paziente ricevente.

La tecnologia Machine Perfusion è già utilizzata nel nostro ospedale per valutare e migliorare la qualità di fegati che inizialmente non soddisfano i criteri di idoneità al trapianto.

Quali sono le tappe del vostro progetto?

Nel nostro progetto, valuteremo l’efficacia di una terapia innovativa, basata sull’utilizzo di fattori prodotti dalle cellule staminali, nello stimolare la rigenerazione delle cellule del fegato e nel ridurre l’infiammazione. L’applicazione dell’analisi NGS consentirà di raggiungere un duplice obiettivo:

  1. studiare gli eventi biologici che si mettono in moto quando il fegato viene sottoposto a Machine Perfusion;
  2. descrivere gli effetti positivi indotti dalla terapia in studio.

Accanto allo studio preclinico, il nostro progetto prevede di effettuare un’analisi NGS di campioni prelevati da pazienti trapiantati con un fegato sottoposto a Machine Perfusion presso l’UOC Chirurgia generale e Trapianto di Fegato della Fondazione IRCSS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano.

Il confronto dei risultati degli esperimenti con i dati ottenuti dall’analisi dei campioni dei pazienti contribuirà a rafforzare ulteriormente i dati ottenuti durante lo studio preclinico, permettendo di interpretare più accuratamente i risultati.

In parallelo agli esperimenti preclinici già portati a termine, è in corso la raccolta di campioni dei pazienti presso il nostro ospedale, mentre abbiamo attivato una collaborazione con un altro Centro Trapianti nazionale per aumentare il numero dei casi da studiare.

Quali risvolti potrebbe avere la ricerca sulla salute delle persone?

Il trapianto di fegato è ad oggi l’unica opzione terapeutica per pazienti con una patologia epatica terminale. Come è ben noto a chi lavora in ambito trapiantologico (chirurghi, anestesisti, epatologi, infettivologi) la disparità tra donatori di organi e pazienti in attesa di trapianto è una condizione a dir poco drammatica. Infatti, solo una parte dei malati in lista d’attesa avrà la possibilità di vivere grazie ad un trapianto.

La campagna di sensibilizzazione alla donazione, l’introduzione di nuove tecniche chirurgiche e di nuovi farmaci hanno consentito di colmare solo parzialmente questo divario.

Questo nostro studio preclinico/clinico potrebbe consentire di aumentare il numero dei fegati disponibili per il trapianto, attraverso la valutazione e il trattamento dei fegati inizialmente definiti non ottimali e dare a più pazienti in lista d’attesa la possibilità di vivere.

Come il finanziamento di Fondazione Patrimonio vi ha agevolato nel lavoro?

Per una giovane ricercatrice come me essere responsabile di una ricerca biomedica innovativa è estremamente stimolante e un reale momento di crescita. Il budget messo a disposizione dalla Fondazione Patrimonio Ca’ Granda consentirà al gruppo di ricerca di cui faccio parte di utilizzare una metodica all’avanguardia a livello internazionale ed estremamente costosa.

Che rapporto c’è tra ricerca da laboratorio e attività di cura sui pazienti?

Io sono una ricercatrice “da laboratorio” e la mia linfa vitale è lavorare con i ricercatori clinici che sono quotidianamente a contatto con i pazienti.

Lavoro da molti anni con il gruppo di chirurghi che si occupano di trapianto di fegato presso il nostro ospedale. I miei colleghi citano spesso la frase T. Starzl, guru della trapiantologia internazionale: “Se c’è un problema irrisolto sui pazienti, si deve risolvere in Laboratorio. I risultati ottenuti devono poi essere trasferiti sui pazienti”. Solo così ci può essere il progresso della medicina. Questo percorso viene definito “ricerca traslazionale” ed è l’approccio che consente il progresso della medicina.

Ci racconta qualche episodio del suo lavoro che le è rimasto particolarmente impresso? 

Un aspetto che ancora mi colpisce molto è che il mio responsabile, chirurgo e scienziato, nonostante abbia raggiunto ormai l’età e una posizione che gli permetterebbero di alienarsi dall’attività clinica, quando parla dei pazienti, li definisce “gli ammalati”, facendo emergere la sofferenza e il bisogno di cura di queste persone.

La stessa sensibilità si manifesta quando ci rende partecipi della sua commozione nel raccontare di aver incontrato un suo paziente, ora iscritto all’Università, trapiantato all’età di due anni. Questo ragazzo portava con se un pupazzetto in stoffa che custodiva gelosamente, regalato dal chirurgo che lo aveva trapiantato. Come non può, un simile aneddoto, darti forza nel continuare a “ricercare”?

E ancora, come non aver voglia di “ricercare” se chirurghi e anestesisti ti raccontano delle loro 36 ore di ansia in attesa che ci fosse un donatore idoneo per un ragazzo di 29 anni che aveva perso completamente il suo fegato durante un incidente motociclistico?

Come si fa a non lavorare con entusiasmo sapendo che un giovane paziente vive solo ed esclusivamente con un “nuovo” fegato perché il suo era irreparabilmente avvelenato da un piatto di funghi?

Perché la ricerca è importante per migliorare la vita e la salute delle persone?

Si dice che l’età dei “perché” sia quella intorno ai 2-3 anni. Ecco, il ricercatore vive in quell’età per tutta la sua vita. Il Ricercatore non chiude mai la porta della Bottega fino a quando non trova risposta a tutti i suoi “perché”.

La scienza avanza per piccoli passi, ma avanza sempre, non si ferma mai. E quindi noi ricercatori non possiamo fare altro che aggiungere un piccolo “pezzo” alla volta cercando di comporre un grande puzzle. Un puzzle che viene assemblato assieme ad altri Ricercatori, ognuno con le sue competenze.

È inoltre indispensabile che il Ricercatore si confronti con la comunità scientifica internazionale per l’unica guerra che dovrebbe esistere: quella dei numeri, dei grafici e delle statistiche. Ai Congressi internazionali è questa l’aria che si respira: scienziati di tutte le nazionalità, di tutte le etnie, di tutte le religioni che presentano i propri dati e li discutono “in pace” in una sala conferenze.

In ultimo mi permetta di ringraziare i donatori (di organi e sangue; per il paziente sottoposto a trapianto per incidente motociclistico sono state utilizzate 39 sacche di sangue!) e le loro famiglie perché il loro estremo gesto di generosità consente di ridare la vita ai malati che altrimenti non avrebbero a disposizione una terapia adeguata per sopravvivere.

E grazie ovviamente anche a tutta la “Macchina” sanitaria/organizzativa che contribuisce a rendere realizzabile una donazione.