• Riso, oro della Ca’ Granda

Se le terre della Fondazione Patrimonio Ca’ Granda fossero un giacimento, il filone alla base della sua ricchezza sarebbe sicuramente quello del riso.

Nel comprensorio dei possedimenti rurali la coltivazione del riso, il cereale più completo e digeribile fra tutti – notevole l’apporto di fibra, vitamine e sali minerali – ha un grande valore non solo dal punto di vista dell’economia locale ma anche per il territorio: plasma il paesaggio e dà vita ad ambienti che ospitano molte specie di uccelli e anfibi.

Maggio è il mese della semina, momento fondamentale nella vita delle cascine della Ca’ Granda come LassoResentera e Battivacco che producono riso delle migliori varietà, primo fra tutti il Carnaroli, particolarmente pregiato per l’alta presenza di amilosio, un polisaccaride che, rallentando l’assorbimento dei glucidi presenti nel riso, ne abbassa molto l’indice glicemico rendendolo un ottimo alleato per un’alimentazione sana e nutriente.

Ai tempi della fondazione dell’Ospedale Maggiore, nel XVI secolo, il riso giungeva nel capoluogo lombardo dall’Asia Minore attraverso la Grecia.

Noto agli arabi con il nome di arz, in età viscontea era molto caro e venduto dagli speziali come medicamento. La sua coltivazione, come racconta l’archivio online Ca’ Granda, venne introdotta a livello sperimentale da Galeazzo Maria Sforza, probabilmente nelle cascine dei parchi ducali di Pavia e Milano.

La bassa milanese è da sempre una delle terre più fertili e più adatte alla produzione del riso, che si adatta ai terreni più diversi.

La prima menzione del riso in area milanese si trova in una lettera del 1475, dello stesso Sforza, indirizzata al duca Ercole d’Este, suo alleato, con la quale annunciava l’invio di alcuni sacchi di riso nel ferrarese senza l’obbligo di pagamento di dazio, al fine di avviarne la coltivazione estensiva anche in quelle terre. Il duca, che conosceva le grandi proprietà del riso, ne tutelò la produzione e il commercio.

Oggi, la coltivazione del riso ha un ruolo importante nell’economia dell’agricoltura lombarda: la varietà Carnaroli è quella maggiormente prodotta ma non mancano l’Arborio, il Rosa Marchetti, il Baldo.

Il Carnaroli, nato dall’incrocio tra il Lencino e il Vialone, è definito il “re dei risi”: ideale per risotti e pietanze gourmet perché i suoi chicchi, che tengono molto bene la cottura, assorbono i condimenti restituendo poi al palato tutti gli aromi e i profumi.

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